mercoledì 29 gennaio 2014

PICCHIO DAL POZZO

Picchio dal pozzo (1976, Grog)


Sull’autentica originalità dei genovesi Picchio dal Pozzo non ci sono dubbi. I Nostri esordiscono a metà degli Anni '70 con un 33 giri personalissimo, melting pot di stravaganze italiane su strutture anglosassoni. La loro adesione a un sottogenere specifico quale il Canterbury sound della seconda ondata (quella cioè dei Soft Machine post-Wyatt, Henry Cow e National Health) li ha resi una delle realtà meno catalogabili della musica popolare nostrana di sempre.
 
Distanti dal prog tastieristico e dei tronfi tentativi orchestrali, i Picchio dal Pozzo hanno cavalcato in solitaria un sentiero impervio, elargendo due dischi di obliqua bellezza (si azzardi anche Abbiamo tutti i suoi problemi, del 1980) nel disinteresse, come prevedibile, del grosso pubblico. Il tutto condito con liriche che avrebbero ottenuto l’approvazione dello scrittore francese Alfred Jarry, teorizzatore della patafisica e personaggio mitizzato dai gruppi di cui sopra. La band ruota attorno a tre amici: Aldo De Scalzi (tastiere), Paolo Griguolo (chitarra) e Andrea Beccari (basso) i quali, nell’arco di un anno, imbastiscono un repertorio di sorprendente maturità, coniugando la libertà jazzistica dei sixties più rivoltosi con l’estro sperimentale dell’underground seventies.
 
Eclettico ma compatto, l'album Picchio dal Pozzo è capolavoro di commovente non-sense, scritto, arrangiato e suonato nella grazia di un’ispirazione oggi impensabile. Dovendone estrarre a mo’ di esempio gli episodi più significativi citeremo almeno Cocomelastico e i 10 minuti di Seppia, Manifesto lontano da futili intellettualismi e vicino alla libertà ch’è propria del bambino. 
 
genere: Canterbury-italian sound

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