martedì 28 maggio 2013

VON LMO

Future Language (1981, Strazar)

 
Nel rock, si sa, la spacconeria trionfa sulle masse. Una posa ‘hard & heavy’ garantisce la sudditanza di un pubblico forse poco interessato alla sostanza ma pronto a collezionare il più infimo dei cofanetti antologici se proveniente da un bullo vestito a dovere. Quasi sempre. Non è questo il caso dell'inquietante Von Lmo (al secolo, Frankie Cavallo); newyorkese di origini siciliane, Lmo ha trascorso un trentennio assicurandoci l’autenticità del proprio genio e tratteggiando di se stesso l’immagine di re di tutti gli outsider, venuto dal pianeta Strazar per indicare la via del rock futuro.

Future Language riassume efficacemente una formula che, portando il r’n’r delle origini ai limiti della cacofonia no-wave, genera un sabba punk dedicato al programma spaziale statunitense. Dall’hard rock in odore free-jazz della titletrack alle divagazioni space con astrazioni chitarristiche a mo’ di assolo in Outside the time, l’album scorre adrenalinico nel fragore del suo artefice; ultimo demiurgo del rock estremo, Von Lmo sbraita elucubrazioni 'science fiction' nella rabbiosa consapevolezza del proprio insuccesso commerciale.

All’indomani da un’indiavolata esibizione al leggendario Max's Kansas City di lui si perdono le tracce. Riapparirà negli Anni ’90, rincarando la dose nei lavori Cosmic interception e Red resistor. Nonostante l'esigua discografia, egli ha generato un culto destinato a crescere, ringalluzzito dalle lodi di istituzioni underground come Foetus, Julian Cope e il frontman dei Suicide Alan Vega, il quale ricorda ancora con paura una performance del Nostro al Max’s.

Genere: no-wave

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